- di Gilberto Oneto
Il nuovo governo ha tutta l’aria di voler mantenere le promesse elettorali e – per prime – quelle sul giro di vite nei confronti dell’immigrazione illegale. Si è però subito trovato in difficoltà sulla introduzione del reato di ingresso clandestino.A questa si sommano i soliti problemi di sempre: la magistratura fa resistenza, la polizia non ce la fa, le carceri sono piene e mancano i soldi per farne altre, non si possono espellere gli zingari che hanno acquisito la cittadinanza, non si sa dove mandare i clandestini di cui è ignota la provenienza.
Potrebbe perciò ricominciare la costosa farsa delle ingiunzioni a lasciare il territorio nazionale (in realtà solo un cortese invito) reiterate mille volte senza esito.A tutto questo si aggiunga che in Italia c’è il più alto numero di poliziotti per abitanti del mondo occidentale, che il numero dei detenuti è pressoché uguale a quello del personale di custodia e che i detenuti costano al giorno una cifra con cui i comuni mortali potrebbero starsene in un hotel a 5 stelle.
Tutto rischia di restare come prima.
Eppure una soluzione semplice c’è e deriva da una logica deduzione: gli stranieri vengono dicendo di voler lavorare, mantenerli in carcere o nei centri di accoglienza costa, arrecano danni alla comunità e ai singoli che qualcuno deve risarcire e il lavoro ha un alto potere rieducativo. Li si faccia lavorare: in fabbriche attrezzate, in miniere, concerie, discariche, altiforni, a fare la raccolta differenziata, a pulire boschi fiumi strade e ferrovie, a tagliare legna, tutti lavori che si dice siano poco graditi agli italiani.Ma senza sfruttarli: li si paga il giusto sindacale e – per evitare fraintendimenti – scrupolosamente a cottimo. Quello che guadagnano deve servire a mantenerli (così non sono più a carico della società) risarcire le spese di giudizio, rifondere gli eventuali danni arrecati ai cittadini (finalmente), prepagare il viaggio di ritorno alla fine della pena. Tutto quello che avanza (se avanza) va per migliorare – se lo vogliono – il loro tenore di vita oppure in un fondo che sarà loro consegnato al paese di origine, a rate, dalle autorità consolari.
Alla fine della detenzione gli si da un biglietto e li si saluta. Se partono, bene; se restano, li si acchiappa un’altra volta e la trafila ricomincia. Vediamo chi si stanca prima. Qualche bello spirito dirà che questi sarebbero dei laogai, dei campi di sfruttamento di moderni schiavi. Balle! Il trattamento sarà umano e ciascheduno guadagnerà in funzione delle proprie capacità e laboriosità. È tutto interesse della comunità trattarli bene, mantenerli sani e a liberarsene il più presto possibile.
Proprio per questo il sistema andrebbe esteso anche ai reclusi nazionali, con l’eccezione del biglietto di ritorno e l’aggiunta della possibilità di farsi anche la pensione. Tutti dovrebbero essere utilizzati a seconda di capacità, competenze e preferenze. Artigiani, professionisti e addirittura intellettuali potrebbero continuare a fare quello che sanno fare meglio: renderebbero di più e pagherebbero il loro debito più velocemente.
Basta con reclusi oziosi: col lavoro li si rieduca, se vogliono essere rieducati. In ogni caso non gravano sulla comunità che oggi è costretta a subirne le gesta se sono a piede libero e il costo del mantenimento se sono dentro.Questo governo dice di voler cambiare radicalmente rotta. Ecco una semplice possibilità di farlo senza far pagare ancora una volta i contribuenti. Dei bei laogai umani: una soluzione civile e intelligente.
Gilberto Oneto
l'articolo l'ho pescato in giro per interdet..
la proposta è estremamente interessante ed anche illiberale ^^' quindi giustissima..
ma sappiamo che siamo in Italia e in Europa... quindi...
1 commento:
se se, te ce lo vedi toto riina a zappare? poi sai, dopo che uno ha ammazzato stuprato mutilato, è giusto che gli si riconoscano i diritti umani, compreso quello di scegliersi liberamente un lavoro che lo gratifichi e lo soddisfi. e se ho capito un pochino com'è la gentaglia che va a finire in galera, tra lavorare e fare un cazzo a spese dello stato, la scelta l'han già fatta da mò
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