da Apcom
UE/ LISBONA, UN'IRLANDA SPAVENTATA FA TREMARE TUTTA L'EUROPA
Giovedì il referendum sul Trattato, a Bruxelles fiato sospeso
postato 2 ore fa Bruxelles, 9 giu.
(Apcom) - Chi si ricorda cos'era l'Irlanda prima del 1973, prima dell'ingresso in Europa, è pronto a votare "sì", chi invece ha tra i 35 e i 49 anni, coloro cioè che nell'Europa sono cresciuti, hanno studiato, hanno lavorato, è invece per il "no". E' uno dei tanti squarci aperti dai sondaggi che si susseguono in questi giorni sui due milioni e duecentomila elettori irlandesi, che giovedì prossimo andranno alle urne per decidere se loro, e gli altri 500 milioni di europei della Ue, aderiranno al Trattato di Lisbona o meno. Il loro voto è infatti "impegnativo per tutti": se l'Irlanda, unico Paese dei Ventisette chiamato al referendum, dirà "no" sarà una decisione che varrà anche per gli altri 26 Paesi membri, così vogliono le regole europee, o tutti o nessuno. Un'Irlanda spaventata dagli effetti su di se del Trattato sta facendo tremare tutta l'Europa. Questo però è un aspetto che poco interessa l'elettore dell'isola. E' un Paese piccolo l'Irlanda, e questo lo sanno bene i suoi cittadini. Venerdì un sondaggio, per la prima volta, dava il "no" in deciso vantaggio. Da ieri invece sembravano prevalere di nuovo i "sì". La sostanza è che si tratta di un testa a testa dominato, come al solito, dagli indecisi, assestati tra il 25 e il 30 per cento. Pochi invece quelli che dicono che non andranno a votare, meno del 5 per cento. Tra quelli che prevedono di votare contro il Trattato il motivo principale, secondo sondaggi e osservatori è uno: non si capisce cose c'è scritto in quel testo. La complicazione della materia fa insomma talmente paura che si preferisce allontanarla. Eppure l'Irlanda di oggi non esisterebbe senza la scelta del '73. La "Tigre celtica" è cresciuta grazie ai 40 miliardi di euro di trasferimenti netti che ha avuto in trent'anni dall'Europa, che le hanno permesso di avere il secondo Pil pro capite dei Ventisette dopo il Lussemburgo. Ora questa corsa è rallentata, la crisi colpisce anche l'Irlanda, che mantiene però una crescita più altra della media comunitaria. Però fa paura. Chi ricorda un paese povero davvero, isolato davvero ancora crede nella Ue, chi è abituato al miracolo economico forse più lungo della storia invece non si capacita, ad esempio, del fatto che entro il prossimo anno un quarto dei lavoratori edili perderà il suo lavoro. Sulla questione lavoro il Taoiseach (così si chiama il primo ministro) Brian Cowen punta in particolare invece proprio per il "sì" al referendum: "Di cosa si tratta? Si tratta di cercare di salvare i posti di lavoro", ha spiegato in un'intervista al quotidiano "Irish Independent". "Si tratta di trovare i mezzi per far continuare la crescita della nostra economia", ha insistito. Gli agricoltori sembra che gli abbiano creduto, sempre secondo i sondaggi, in cambio di una promessa di "veto" se qualcosa nella politica agricola comune non dovesse andare per il verso giusto. I sindacati in generale temono però che Lisbona apra ad una politica "neoliberista" in economia, che contragga i diritti dei lavoratori. Questo, secondo un sondaggio diffuso ieri, è addirittura il tema che, in questo clima di recessione economica, preoccupa la maggior parte degli elettori, il 21 per cento. Quattro milioni e duecentomila persone, tanti sono gli irlandesi, pur se protagonisti di una forte crescita demografica. Sono pochi, sono lontani da Bruxelles, alcuni temono che in futuro l'Europa possa in sostanza non occuparsi più di loro, che l'Unione sia anzi un peso dopo l'allargamento, che in molti vorrebbero vedere come un processo terminato. Già sono poco interessati ai "fratelli europei" dell'Est: "cosa ci importa di loro?" si domandano in molti sul fronte del "no" quando Cowen li invita a votare "sì" per "abbracciare i nostri amici europei dell'Est". "Think local", è uno slogan che si diffonde, anche se con una aggiunta che vorrebbe essere politically correct: "nothing personal". D'altra parte l'Irlanda, in termini proporzionali, è il Paese europeo che ha accolto più immigrati dalla Nuova Europa. Il Trattato di Lisbona prevede che dal 2014 i commissari europei non saranno più uno per Paese, come avviene ora, ma solo 18, con un sistema di turnazione. I piccoli irlandesi hanno paura di contare ancora di meno senza neanche un compatriota in Commissione, ed uno slogan del fronte del "no", affisso in tutte le città punta proprio su questo: "Teniamoci il nostro commissario, votiamo no". Tra i partiti il fronte del "no" è piuttosto ridotto: ci sono il Sinn Fein (che vuol dire "Noi da soli") che conta meno del 7% dei voti e 4 deputati e il Partito socialista, elettoralmente insignificante. Tutti gli altri sono schierati per il "sì", ma sono, evidentemente, profondamente spaccati al loro interno. Un esempio di questa spaccatura è l'interessante "no" che viene dai cattolici più conservatori e, a sinistra, dai pacifisti più convinti. I primi temono che Lisbona "apra ad aborto ed eutanasia ed al matrimonio gay", in particolare attraverso la Carta dei diritti che è allegata al Trattato. I secondi temono invece per la difesa della storica neutralità del Paese, a causa della norma che prevede il mutuo soccorso tra gli Stati membri della Ue in caso di invasione militare subita da uno di loro, anche se non si specifica nel dettaglio che tipo di soccorso debba essere. Su questo punto fioriscono schede e dibattiti, e sembra esser questione centrale per i pacifici elettori dell'isola. Almeno così dice il 18 per cento di loro secondo un sondaggio. Le interpretazioni di quel che può avvenire all'Irlanda con l'approvazione del Trattato sono spesso diametralmente opposte, con "esagerazioni che vengono da ambo le parti", spiega Emily O'Reilly, ombudsman al Referendum, l'ufficio pubblico nazionale che sorveglia sul corretto svolgimento della campagna referendaria, fornendo anche una dettagliata informazioni sui contenuti della complessa questione. Venerdì 13 giugno esiste il rischio che l'Europa si svegli con le lancette del tempo indietro di otto anni, per tornare (per restare in realtà) in un Trattato di Nizza (già bocciato una prima volta dagli irlandesi, poi ripreso 'per i capelli' con un secondo referendum) oramai troppo stretto per una Ue a Ventisette e che ambisce a crescere ancora. Sarebbe un brutto risveglio in particolare per Nicolas Sarkozy, che ha grandi progetti per il suo semestre di presidenza che inizia il primo luglio, che ne vuol fare una vetrina per se e per la Francia, anche per rilanciare la sua immagine un po' appannata. Rischia invece, il presidente francese di dover combattere con i cocci di un'Europa che non può progettare il suo futuro e dovrà invece trovare il modo di rimettere insieme i pezzi. Una condizione molto meno prestigiosa, ma in realtà non è detto affatto che i progetti di Sarkozy siano destinati a svanire.
basta un briciolo di democrazia e gli euro burocrati si cagano addosso..
4 commenti:
eh...mannacc a sti referendum...ma chi cazz ha avut st'idea del tutti o nessuno? iamm'che mo facimm na reguletta nuova nuova e cacciamo sti minkia di voti che francamente, ci scassaru i gualleri, eccheccazz'
figlioli la pace è nel subire.
come facciamo noi in Tibet..
dai ragazzi andate a giocare sulla riva del Po.. molto sulla riva..
tornando all'articolo..
è bello che per i media, quando uno qlc non è daccordo sulle politiche decise dalle èlite politico-economiche è per forza spaventato.. sia che si tratti di immigrazione, di "riforme" econimiche o di altro..
mai che sia convinto del contrario, sempre spaventato..
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